1. La ‘ndrangheta resta a oggi l’organizzazione mafiosa più forte e radicata in Italia e in numerosi paesi stranieri, capace di gestire enormi partite di cocaina e di altri stupefacenti.
Le recenti operazioni dei magistrati calabresi e di altre procure antimafia del Centro e del Nord Italia hanno scompaginato molte ’ndrine, ma non sono riuscite a sradicarle dal territorio d’origine (la Calabria) né da quelli di più recente insediamento, tanto al Centro-Nord come in molti paesi stranieri. A cominciare da quelli europei, strategici sia per le rotte della cocaina che per il riciclaggio del denaro. Gli ’ndranghetisti, seppure fortemente colpiti dalle indagini degli ultimi anni, continuano ad agire in questi territori. Come mai? Cosa li rende così potenti e capaci di radicarsi nei contesti in cui operano?
È utile partire dalle parole ascoltate nel corso di un’intercettazione ambientale. Parole per molti versi incomprensibili, almeno a una prima lettura, eppure molto importanti: «A nome della società organizzata e fidelizzata battezzo questo locale per come lo battezzarono i nostri antenati Osso, Mastrosso e Carcagnosso che lo battezzarono con ferri e catene. Io lo battezzo con la mia fede e lunga favella. Se fino a questo momento lo conoscevo per un locale oscuro, da questo momento lo riconosco per un locale sacro, santo e inviolabile in cui si può formare e sformare questo onorato corpo di società».
Queste formule appartengono a un rituale della ’ndrangheta per l’ingresso di un giovane e hanno un grande valore simbolico: attestano l’alterità degli ’ndranghetisti, gli unici ad avere accesso ai segreti dell’organizzazione. Per questo il luogo fisico dove si sarebbe svolta la cerimonia d’iniziazione doveva essere simbolicamente liberato dalle presenze spurie. Fatto ciò, si passa alla cerimonia vera e propria, che prevede altre parole rituali. Per tre volte il capo chiede il consenso dei presenti all’ammissione del giovane «all’onorata società». Le formule non sempre coincidono; in alcune ’ndrine è prevista l’incisione del dito del giovane aspirante e il simbolico versamento del suo sangue.
Di costante vi è il fatto che l’ingresso nella ’ndrangheta passa per un battesimo rituale: non c’è altra strada per chi voglia diventare uomo d’onore. Tutti gli altri restano esclusi, inesorabilmente. Il rituale affonda le sue radici nel passato ancestrale della ’ndrangheta, la cui mitologia assegna ai tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso – rintanati nelle grotte della Favignana per trent’anni – la creazione delle regole che presiedono al funzionamento delle mafie contemporanee.
2. La peculiarità della formula iniziatica di cui sopra è che essa è stata pronunciata in un bar di Singen – una località tedesca ai confini con la Svizzera – il 20 dicembre 2009. Due anni prima, a ferragosto del 2007, la strage di Duisburg aveva fatto conoscere ai tedeschi e a tutto il mondo la potenza distruttiva e violenta della ’ndrangheta, capace di seminare morte in località molto lontane da San Luca, il comune dell’Aspromonte dove erano nati gli uomini uccisi quella sera all’uscita da un noto ristorante. Quando i poliziotti perquisirono i cadaveri fecero una scoperta illuminante: nelle tasche di un giovane fu trovato un santino bruciacchiato, segno che quella sera aveva festeggiato la sua affiliazione rituale.
Le parole pronunciate a Singen ricalcano quelle del «battesimo» di Serafino Castagna, un giovane di Presinaci (frazione di Rombiolo, provincia di Vibo Valentia). Il giovane ha descritto la sua affiliazione con gli ’ndranghetisti riuniti «a cerchio formato», con il capo della ’ndrina in veste di officiante: «Io lo battezzo come lo hanno battezzato i nostri tre cavalieri di Spagna…i nostri tre cavalieri che dalla Spagna sono partiti… se loro hanno battezzato con ferri e catene, con ferri e catene lo battezzo io… se loro hanno battezzato con carceri scuri e carceri penali, con carceri scuri e carceri penali lo battezzo io». Queste parole furono pronunciate la prima volta il 7 aprile 1941: la permanenza dei rituali a distanza di tanti anni è impressionante, anche perché avvengono in contesti lontani nello spazio, oltre che nel tempo.
Di recente – estate 2010 – le operazioni Crimine e Infinito delle procure di Reggio Calabria e Milano hanno evidenziato, attraverso numerose intercettazioni, come si continuasse a «battezzare» i nuovi arrivi facendo riferimento ai cavalieri spagnoli e come gli uomini della ’ndrangheta avessero una particolare predisposizione per le «doti», le cariche formali che sembrano crescere continuamente e che servono a definire la collocazione ai vertici della ’ndrangheta.
La cerimonia di Singen è più importante di altre perché, dopo Duisburg e dopo le indagini della polizia tedesca, mostra come i tentacoli della ’ndrangheta siano sempre forti e come essa continui a clonare la propria struttura organizzativa lontano dai luoghi d’origine. È una particolarità della ’ndrangheta che si ripete ovunque: all’estero le regole di comportamento di un buon mafioso sono identiche a quelle in uso in Calabria.
Altra particolarità della mafia calabrese è che le sue proiezioni nazionali o estere, per quanto forti economicamente e numericamente, dipendono sempre dalla casa madre in Calabria. Gli uomini di ’ndrangheta che abitano all’estero, quando hanno problemi che non riescono a risolvere diversamente, scendono in Calabria, perché lì c’è qualcuno in grado di dirimere controversie.
Uno di quelli venuti apposta in Calabria è Domenico Antonio Vallelonga, detto Tony, che avrebbe discusso di assetti della ’ndrangheta a Siderno con Giuseppe Commisso, u mastru che considera Vallelonga «persona seria». Vallelonga è stato sindaco della cittadina australiana di Stirling per quattro mandati consecutivi, dal 1997 al 2005; è stato esponente di vari consigli regionali e presidente di associazioni locali, di comitati comunitari e di alcune associazioni di cittadini italiani. È originario di Cassari, minuscola frazione di Nardodipace, piccolo comune che sorge nel cuore delle Serre, in provincia di Vibo Valentia.
Vallelonga fa parte di quella sterminata schiera di calabresi emigrati quaranta o cinquanta anni fa in molte parti del mondo, inclusa l’Australia, dove c’è una folta comunità calabrese. Di questa s’era occupato anche Nicola Calipari, che da giovane funzionario di polizia aveva spiegato alle autorità australiane le attività degli ’ndranghetisti, da non confondersi con i calabresi onesti.
3. Queste vicende sembrano confermare la sostanziale analogia tra quanto accade nel Nord Italia e all’estero e le dinamiche dei comuni di provenienza degli ’ndranghetisti, i quali clonano la struttura mafiosa ricreando non solo le strutture organizzative ma anche lo stile di vita, le relazioni sociali, i riti delle terre d’origine. Non è solo o tanto nostalgia di questi luoghi o del passato, quanto bisogno di sicurezza: questi mafiosi trapiantati hanno necessità di riprodurre meccanismi collaudati, gli unici in grado di garantire coesione e funzionalità dell’organizzazione da cui essi traggono protezione e sostentamento.
La ritualità apparentemente ossessiva e la clonazione della struttura primigenia sono i punti di forza della ’ndrangheta, che nel corso degli ultimi anni s’è affermata come l’organizzazione criminale più forte, affidabile e radicata. È più affidabile verso le organizzazioni colombiane e tutte le altre che hanno a che fare con il traffico di stupefacenti: transazioni e accordi si fanno a voce e dunque conta la parola, la fiducia, l’affidabilità di chi tratta. È diventata affidabile perché non ha avuto collaboratori di giustizia tali da compromettere affari da milioni di euro, nei quali la capacità di mantenere il silenzio vale oro.
È poi l’organizzazione più radicata perché, avendo una struttura familiare, riesce a spostare ovunque pezzi delle ’ndrine trasferendoli nel territorio prescelto, dove i nuovi arrivati stabiliranno relazioni e rapporti con i residenti. Gli stessi cognomi presenti in Calabria si inseguono nei luoghi di diffusione. L’importanza della famiglia è data dal fatto che ogni ’ndrina è conosciuta dal cognome del capobastone, mentre nella mafia siciliana è conosciuta dal paese o dal quartiere della grande città. Nel giro di pochi anni i mafiosi appena arrivati riescono a mimetizzarsi nel nuovo ambiente e a condurre una vita apparentemente tranquilla, senza destare allarme sociale e senza richiamare l’attenzione degli inquirenti.
Il basso profilo, l’evitare omicidi e violenze sono le modalità migliori per sviluppare diversi affari: dal narcotraffico al riciclaggio, dall’acquisto di immobili alla penetrazione nel campo della sanità, dalla ristorazione all’edilizia.
Questo enorme volume di affari, sviluppato in tutte le regioni del Centro-Nord e all’estero, ha portato le ’ndrine a creare forme di collegamento e di direzione più impegnative rispetto al passato. Questo spiega lo sforzo degli ultimi volto a creare una struttura unica di gestione degli affari criminali, pur rispettando tutti i canoni ’ndranghetisti: una ’ndrangheta unitaria e capace di risolvere i problemi che continuamente insorgono in organizzazioni del genere era necessaria proprio per le aumentate dimensioni economiche e per la posta in gioco connessa alle decisioni davvero rilevanti.
4. Non c’è dubbio che la ’ndrangheta abbia un ruolo assai rilevante in Italia e un profilo globale di tutto rispetto. Ormai si muove con naturalezza su tutto lo scacchiere internazionale intessendo rapporti, realizzando affari e alleanze. Le analisi convergono nel mettere in luce questi elementi: non sono solo studiosi, ma anche magistrati e forze dell’ordine a indicare le evoluzioni recenti. Tra queste c’è il fatto che la ’ndrangheta si muove con naturalezza anche perché ha scoperto di essere meno vulnerabile al di fuori del contesto calabrese, dove pure esprime la maggiore capacità di controllare il territorio. A cosa si deve questa evoluzione?
Innanzitutto al fatto che nelle regioni del Nord molti tribunali non applicano il 416 bis (l’articolo del codice penale che riconosce l’esistenza della struttura mafiosa). Anche alcune recenti pronunce della Cassazione in merito a sentenze del tribunale di Milano si sono mosse nella medesima direzione. Basti citare la sentenza del 7 giugno 2013, con la quale la Corte ha cassato l’articolo 416 bis nel processo denominato Parco Sud e riguardante la ’ndrangheta di Buccinasco, paese alle porte di Milano noto per le numerose indagini che hanno colpito le ’ndrine locali soprattutto tra il 1992 e il 1994. In seguito a questa pronuncia è stato subito scarcerato Domenico Papalia, figlio del più famoso Antonio Papalia, oggi ergastolano.
Alcuni magistrati argomentano che è difficile provare la forza intimidatoria del vincolo associativo e dunque sono meno propensi a condannare per certi reati senza riconoscere ad essi l’aggravante dell’associazione mafiosa. Altri sollevano il problema dell’articolo 416 bis, pensato per una realtà come quella siciliana del 1982 quando la mafia non aveva significative presenze al Nord e all’estero. Nessuno, d’altra parte, poteva immaginare a quel tempo l’evoluzione più recente del fenomeno e l’avanzata strepitosa che ha avuto negli ultimi anni.
È un problema che riguarda la cultura dei magistrati del Nord, i quali non sempre riescono a leggere con gli occhiali giusti una realtà apparentemente tranquilla, ma in realtà pesantemente condizionata da un clima di paura e di omertà, come mostrano le ritrattazioni in dibattimento da parte di imprenditori importanti, tutti originari del Nord e dunque cresciuti in contesti privi della cultura dell’omertà.
Negli ultimi anni s’è venuta a determinare una situazione affatto nuova, essendo aumentati – e di molto – coloro che non denunciano e non trovano il coraggio di ammettere davanti al magistrato quanto hanno appena detto in una telefonata intercettata. È una situazione molto particolare, che se non viene affrontata di petto rischia di trasformare il Nord in una zona franca per i mafiosi.
Ciò avviene mentre in quelle regioni gli ’ndranghetisti si stanno impadronendo di alcuni segmenti dell’economia (in particolare l’edilizia e il trasporto di materiale inerte) e immettono liquidità nell’economia legale, in condizioni di forte restrizione del credito bancario. I mafiosi, in particolare gli ’ndranghetisti, non hanno problemi di liquidità.
Il maggior problema dei paesi stranieri, a cominciare da quelli europei, è invece l’assenza di una legislazione antimafia paragonabile alla nostra. In nessun ordinamento esiste un articolo simile al 416 bis e tanto meno c’è la possibilità di sequestrare e confiscare i beni acquisiti in forme criminali o illegali. Tutto ciò favorisce gli uomini di mafia, che possono agire in modo più spedito e sbrigativo perché il contesto e la storia di quei paesi glielo consentono. Un crimine globale capace di agire su scala planetaria non può essere contrastato con legislazioni vecchie, che non tengono conto della progressiva diffusione del fenomeno mafioso ben oltre le zone d’origine.
Negli ultimi tempi s’è aperta una discussione a livello europeo e si sono approvati strumenti nuovi d’indagine e d’intervento. Ma l’impressione generale è che si faccia fatica a far comprendere la reale natura e la pericolosità del fenomeno mafioso, soprattutto in campo economico e finanziario. I mafiosi stanno facendo passi da gigante anche perché hanno la capacità di entrare in contatto con le zone grigie dell’economia internazionale, là dove s’incrociano i flussi illegali della corruzione, del riciclaggio, dell’evasione fiscale. Un mondo opaco e poco trasparente: una manna per gli ’ndranghetisti e per tutti gli altri mafiosi.
È riflettendo su tutto ciò che si rende necessario un cambio di passo nella lotta alle mafie sul piano europeo.
I mandamenti di Cosa Nostra
“L’esercizio di un dominio su spazi territoriali, economici e culturali è effettuato in forma cooperativa, competitiva o conflittuale. Ne sono attori principali gli Stati e altri soggetti, che con i primi concorrono limitandone di fatto la sovranità.
Le mafie possono vantare un rilevante capitale di potere geopolitico, tangibile e intangibile: la forza militare, ovvero la capacità di dominare e difendere il territorio da altri competitori e dalle stesse istituzioni detentrici del potere formale; il potere normativo, esercitato dotandosi di regole che valgono sia nei confronti dei membri dell’organizzazione, sia degli estranei che a vario titolo possono interferire con l’interesse mafioso; il potere giurisdizionale, ovvero la facoltà di giudicare e sanzionare in modo efficace, rapido e inappellabile le violazioni delle regole ad opera degli associati e degli estranei. […]
In certi contesti geopolitici le mafie sono giunte così anche a determinare o estinguere conflitti, a fare e disfare alleanze, ridisegnare confini. Le vere mafie possono poi contare su forme immateriali di potere: il prestigio sociale e culturale conquistato tramite la dipendenza economica dall’organizzazione dei territori poveri, nonché proposta di modelli di successo sociale ed economico. È poi fattore di potenza determinante nel confronto strategico con gli altri avversari (legali e non) e con le forze istituzionali la coesione interna del soggetto, la fedeltà dei coscritti all’interesse dell’organizzazione, la lealtà a un progetto economico, sociale, politico, esistenziale.
Se è vero che non tutte le formazioni criminali comunemente dette mafia sono davvero tali, è utile proporsi forme di classificazione delle mafie in termini geopolitici, una tassonomia mafiosa fondata sul doppio criterio strutturale-ontologico e relazionale, utile a comprendere il potere geopolitico che le varie società criminali esercitano nel sistema mondiale. Osservandone la struttura interna si scopre che il primario modello mafioso, particolarmente di Cosa Nostra e della ’ndrangheta, non trova corrispondenti se paragonato ad altre collettività criminali, anche di grande rilievo.”
La Sicilia “amministrata” secondo i mandamenti di Cosa Nostra. Nelle tonalità del viola quelli della regione di Palermo, in arancio quelli di Trapani. Le basi centrali dei mandamenti provinciali, delle cosche mafiose e l’estensione della rete della stidda.
Nell’entroterra catanese un conflitto di competenza territoriale divide 2 grandi famiglie mafiose, mentre poco più a sud le cosche di Palagonia e Scordia sono opposte a quelle di Francofonte e Lentini.
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